martedì 22 aprile 2014

Istanbul.

Ho cominciato tardi a viaggiare e forse non mi basterà questa vita per essere in grado di farlo nel modo che sogno segretamente da sempre.
Forse per questo non l'ho mai fatto prima, volevo un idea di viaggio irraggiungibile per un “contadino”.
Solo chi nasce “pastore” raggiunge la divinazione della ricerca, una dimensione ambita, impegnativa e distante.

Da qualche tempo ogni volta che torno ho scoperto che al posto della felicità del passato monta una malinconica commozione.
Mi sembra sia impossibile non amare ogni angolo di questo posto incredibile nel quale abbiamo il privilegio di transitare.
Un Amico direbbe che la faccio troppo poetica, che la vita vera è sangue e sudore ma è proprio da questa “consciousness” che io parto per cercare ciò che di emozionante e poetico c'è ovunque attorno a noi e che troppo spesso ignoriamo.

Partendo da Istanbul ripenso ad una lunga teoria di istanti, immagini, odori ed emozioni, come sempre.
Ciò che più mi sento addosso è quella sensazione turbolenta di terra di confine, quel magmatico pulsare di umanità che davvero ti fa sentire in un altro ombelico del mondo.
Se dalla Scozia riporti il senso di Natura Madre, dalla Andalusia cominci ad assaporare il senso di gramlot, di melting pot, l'impasto primigenio di umanità, da Istanbul sei posseduto dall'atmosfera del porto di scambio ai confini dei mondi.
Lo senti perché qui è terra di naviganti e commercianti, perché qui davvero il denaro sembra non dormire mai, ma quello della carta moneta che passa di mano in mano, di cultura in cultura, di continente in continente e viaggiando si sporca di sugo, sudore, sogni.
Non quello elettronico delle City(s) o del cyber commerce, questo ha un corpo ed una memoria che puzzano di sudore, spezie e piedi.
Così anche tu fatichi a prendere sonno per il rumore del denaro, per l’incessante passaggio lungo gli stretti del caravanserraglio di navi che salutano col canto delle loro sirene la vecchia Istanbul prima bizantina, poi ottomana, poi musulmana, sempre lì, divisa in due anime da una lingua di mare.
In realtà pur capendo quanto siamo terreni e materiali ciò che ti mancherà di più di questo crocevia vociante sarà l'altra faccia dell'uomo; la sua spiritualità.
Non di sola carne, non di sola anima; questo è il destino degli umani, dover vivere sospesi fra queste due sponde divise da un confine invisibile.
Il mio viaggio verso i minima minimalia della conoscenza dell'Islam è partito dall'Andalusia.
È un percorso che consiglio a chi come me viene dalla provincia e dalla terra dell'agricoltore e non conosce il mare.
Thalassa… thalassa...gridavano i mercenari greci dal monte Teche.
Dalla Spagna del sud ho cominciato ad osservare da lontano col cannocchiale la costellazione musulmana.
Ne ho respirato le vestigia, l'odore della polvere delle pietre e della tradizione, gesti epici e crudeltà fatte e subite.
Ho capito così che era tempo per un incontro vero con una società Islamica viva.
La Turchia laica è un buon modo per partire.
È tale la distanza fra il piccolo contadino ed il grande mondo esteso della cultura e della religione da rendere necessaria una gradualità salvifica.
Ho osservato da sempre le religioni non tanto per motivi puramente mistici quanto perché sento quanta umanità alberghi nella religiosità.
La religione mi pare un buon modo più che per capire Dio, intrinsecamente inconoscibile, per capire l'uomo oppure per capire la divinità che sta nell'uomo o viceversa,fate voi...
Osservando le religioni ho trovato tradizioni, costumi, usi, strettamente sedimentati in un unico corpus; per questo le stesse mi hanno sempre raccontato meglio di qualsiasi altra sintesi le donne e gli uomini che avevo attorno a me.
La Turchia da repubblica laica rappresenta un perfetto punto di partenza per viaggiare da occidente verso l'Islam senza scontrarsi prematuramente con certe spigolosità dell'integralismo.
Con questo viaggio ho abbandonato definitivamente la presunzione del passato di andare,vedere e capire.
Non ho gli strumenti di tempo e conoscenze per comprendere ciò che vedo, a volte neppure per vedere; è stato un errore di gioventù al quale per fortuna sto rimediando.
Così dopo avere visitato zone più note mi sono aggregato ad un piccolo gruppo ed ho seguito una guida camminando fra i quartieri più poveri, antichi, non battuti dai turisti, fra calendari fermi nel tempo, case di legno, integralismi chiusi su sé stessi, percorrendo strade, muovendomi sugli autobus, fra gente difficilmente databile,sospesa fra ieri e domani .
E’ qui che ho potuto avvicinarmi a costumi, usanze ed a quella religiosità che volevo incontrare, intrisi l’uno dell’altro, intrecciati in modo inestricabile, vivi anche se vecchi di secoli e dai secoli modellati come le case distrutte e ricostruite una sulla pianta dell’altra.
Cercherò di raccontare ciò che ho visto con l’aiuto delle parole e con le immagini che la fotografia è in grado di rendere con una intensità magica,seguendo un filo di trama invisibile.
Ora che Istanbul passa sotto di me mentre volo vi ripenso a tutto ciò mentre annoto questi pensieri.
Sta tramontando sul Bosforo, un momento magico, che sembra scritto ogni sera da un grande autore diverso.
E’ proprio ora che mi torna in mente quasi per simmetria la leggenda con la quale Entela ci ha salutati al termine di una giornata senza tempo, mentre siamo davanti alla moschea di Mihrimah.
Il vecchio Maestro Sinan mi pare sorridere malinconico mentre viriamo verso il mare.
Lui architetto del Sultano, celebrato ed ormai all’apice della sua carriera, lei Mihrimah bellissima figlia quindicenne del Sultano Solimano e della splendida e potente moglie Roxelana.
Per lei il vecchio maestro è caduto in amore maturo ed a questo palpitante frutto fuori stagione di una vita lunga ed imprevedibile decide di dedicare un ultimo capolavoro.
La moschea del Solimano è già lì da qualche anno, ammirata da tutti, ma lui decide di costruire a sue spese una seconda moschea da dedicare alla ragazza che sta riempendo con la sua bellezza i vecchi occhi ed il cuore stanco.
Allinea così le due moschee giocando con la saggezza ed i sentimenti.
Al tramonto del giorno del solstizio saranno sempre lì su di una perfetta linea magica.
Il sole che cala come il vecchio maestro, si avvia al termine del suo ciclo vitale mentre la giovane luna cresce, bellissima ed eterea, con tanta notte da vivere ancora.
Si incontrano per un attimo lungo appena pochi minuti, perché è scritto dal destino che il loro incontro non sia di questa vita ma forse, in šāʾ Allāh , di una futura che verrà…



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